Sono tantissime le imprese storiche nell’alpinismo che vengono celebrate e di cui si conoscono praticamente tutti i dettagli, ma un importante dettaglio a cui viene data poca importanza è quello dei rifiuti che vengono lasciati sulle montagne proprio dagli alpinisti. Per risolvere questo problema è nata la “missione alpinismo a impatto zero”, che consiste nel non lasciare rifiuti durante la scalata e nell’utilizzare meno attrezzatura possibile.
Gli alpinisti per compiere le scalate hanno bisogno di un’attrezzatura consistente: bombole d’ossigeno, tende, corde, scale, lattine e contenitori per bevande e cibo. Tutte queste cose, però, una volta usate, vengono quasi sempre abbandonate, infatti, una spedizione sull’Himalaya, secondo gli esperti, produce, in media, 20 chili di rifiuti per scalatore.
A prova di quanto detto, nel 2019 una squadra di quattordici persone ha trascorso sei settimane sull’Everest, tra il campo base e il campo 4, che sfiora gli 8mila metri. Il risultato della loro azione è stata la raccolta di oltre dieci tonnellate di rifiuti tra bombole di ossigeno, bottiglie di plastica e attrezzatura da arrampicata.
Sempre nel 2019, un gruppo di ricercatori dell’università di Plymouth ha analizzato la concentrazione di microplastiche nelle acque e nella neve nei pressi del monte Everest. Lo studio, pubblicato sulla rivista One Earth, ha portato alla luce un risultato a dir poco preoccupante. La neve, infatti, contiene una concentrazione più elevata di microparticelle rispetto all’acqua e diversi tipi di polimeri, come poliestere, acrilico, nylon, e polipropilene. Nelle acque sono stati rilevati principalmente poliestere e acrilico. In entrambi i casi, dunque, i ricercatori hanno trovato tipi di polimeri utilizzati principalmente per i materiali utilizzati dagli escursionisti e dagli scalatori.
Per trovare una soluzione a questo problema è nato l’alpinismo a impatto zero, il cui promotore è la leggenda dell’alpinismo italiano Hervé Barmasse.
Barmasse e un altro alpinista tedesco, David Göttler, sono stati protagonisti di diverse scalate sostenibili, durante le quali non hanno utilizzato corde (o quasi) e, soprattutto, bombole di ossigeno.
Le imprese affrontate sono state diverse. Come ha affermato lo stesso Bramasse al Corriere della Sera, per la scalata del Gasherbrum IV avevano solamente 12 chili di attrezzatura, contro i 60 che generalmente porta un alpinista. Inoltre, come punto fondamentale delle imprese, c’era quello di non lasciare rifiuti durante la scalata, obiettivo raggiunto dai due alpinisti.
Secondo Barmasse, il quale utilizza un comunicatore satellitare compatto e portatile, in grado di far localizzare gli alpinisti a qualsiasi quota o posizione, la tecnologia sta aiutando notevolmente l’alpinismo a raggiungere l’obiettivo dell’impatto zero. I materiali, infatti, sono ormai più leggeri e affidabili e anche il cibo stesso è diventato più molto semplice da trasportare.
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