Il territorio italiano ha dimostrato ancora una volta di essere fragile con un dissesto idrogeologico ormai evidente e tragico.
L’Italia è un territorio fragile sotto tanti punti di vista. I vari eventi catastrofici che si sono succeduti, anche solo nel corso degli ultimi dieci anni, hanno più volte dimostrato come anche se il popolo italiano è in grado di rispondere prontamente all’emergenza molto meno pronta è la macchina che dovrebbe evitare almeno parte dei danni e soprattutto delle vittime di questi eventi.
Ultimo in ordine di tempo è ciò che è successo all’Emilia Romagna ma che arriva dopo un altro evento che ha portato situazioni simili sull’isola di Ischia. In occasione proprio della tragedia di Casamicciola Fabrizio Curcio, Protezione Civile, aveva fornito alcuni dati allarmanti e che danno bene la misura di quanto non si sia ancora fatto praticamente nulla né per il territorio né per i cittadini.
Il dato parla di un 94% dei comuni italiani che si trova in zone a rischio alluvioni o a rischio frane. Ma il problema non è tanto la possibilità, che i cambiamenti climatici renderà sempre meno remota, di eventi atmosferici violenti quanto ciò che si continua a pensare di questi eventi: si percepiscono come emergenze momentanee quando invece andrebbero affrontati come problema strutturale.
Dimitri Costa e la questione di un Appennino fin troppo fragile
Dimitri Costa lavora in qualità di geometra presso il Consorzio della Bonifica Parmense e qualche mese fa, durante una intervista ai colleghi de Il Parmense, gli è stato chiesto proprio di esprimersi riguardo la questione di Ischia e di dare una valutazione del territorio di cui si occupa l’ente per cui lavora. Nonostante l’intervista sia quindi un po’ datata e non possa prendere ragionevolmente in considerazione ciò che è successo in Emilia Romagna si tratta di dichiarazioni che devono comunque far riflettere.
Perché il primo aggettivo che Costa utilizza è “fragile“. Un aggettivo che si unisce e sottolinea quanto quella famosa percentuale del 94% espressa da Curcio durante una conferenza stampa dopo la tragedia di Ischia sia veritiera. Il motivo principale, sempre seconda Costa, che porta l’Appennino a non essere un territorio stabile è il mutamento “che risente soprattutto dell’abbandono degli ultimi trent’anni“.
E l’abbandono ovviamente non riguarda solo la zona di Parma in cui opera il Consorzio di Bonifica di cui fa parte il geometra Costa. Quando gli viene poi chiesto di indicare anche alcuni dati con l’indice di franosità nella zona di Parma, anche in questo caso le percentuali sono allarmanti. Costa sottolinea infatti che tra quelli con il rischio più elevato ci sono Tizzano val Parma e Varsi che superano il 47%, mentre scende al 44% l’indice per il comune di Bore.
Ma non è tanto questo indice di franisità a destare preoccupazione, o meglio non solo, perché in realtà “ci sono però comuni con indice di franosità magari inferiore” prosegue il geometra ma che si trovano in un territorio con “frane molto profonde che destano grande preoccupazione“. Questa è la fragilità del territorio dell’Appennino: una fragilità che si esprime oltre e al di là dei numeri e che va affrontata con interventi strutturali che permettano una eventuale gestione dell’acqua, tra gli inneschi più frequenti delle frane, prima che questa diventi un pericolo per persone e cose.