Alpinismo

L’uomo ha scalato tutte le montagne della Terra? No,alcune sono inaccessibili

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Alessia Manoli

Esistono montagne sul nostro pianeta la cui maestosità è avvolta da un mistero inaccessibile. Parliamo di cime proibite, non a causa di limiti fisici, ma per divieti imposti dai governi locali, motivati spesso da tradizioni, religioni e un profondo senso di sacralità. Questi luoghi, ricchi di leggende e miti, sfidano gli alpinisti non solo fisicamente, ma anche spiritualmente, richiedendo un rispetto profondo per la cultura dei popoli che li considerano sacri. In questo viaggio in giro per il mondo, esploreremo cinque montagne off-limits su tre continenti differenti.

Uluru: il monolite rosso dell’Australia

Partiamo dall’Oceania, per esplorare il massiccio di Uluru, conosciuto anche come Ayers Rock, in Australia. Questo imponente monolite di arenaria rossa, alto 348 metri, è un luogo sacro per le tribù aborigene Anangu. Nel 2019, la scalata di Uluru è stata vietata per preservare le tradizioni degli Anangu, che considerano la zona abitata da esseri sacri. La ricca mitologia aborigena aggiunge ulteriore fascino a questo luogo, rendendolo non solo uno spettacolo naturale ma anche un santuario culturale.

Kailash: la montagna sacra dell’Asia

Il nostro viaggio prosegue in Asia, nel Tibet occidentale, alla scoperta del Monte Kailash. Con i suoi imponenti 6.638 metri, questa montagna è considerata la più sacra del pianeta da buddhisti, induisti, seguaci della religione bön e giainisti. La vetta del Kailash è vietata agli scalatori, poiché raggiungerla è equiparato a varcare le porte del paradiso. Da secoli, il Kailash è meta di pellegrinaggi e il percorso circolare noto come kora, lungo circa 50 km, attira devoti provenienti da tutto il mondo. Persino alpinisti famosi come Reinhold Messner hanno declinato l’opportunità di scalare il Kailash per rispetto delle tradizioni locali.

Shiprock: il pinnacolo sacro dei Navajo

Arriviamo anche nel continente americano, nella desolata bellezza del deserto del New Mexico (USA), dove si erge lo Shiprock, noto anche come Shiprock Pinnacle.

Immagine | unsplash @karthiksreenivas – gentechevainmontagna.it

 

Con i suoi 2.188 metri d’altezza, questa formazione rocciosa è stata vietata agli scalatori nel 1970 per proteggere la sua sacralità secondo la tradizione Navajo. La leggenda narra che questo monolite roccioso fosse un grande uccello che trasportava gli antenati dei Navajo verso il New Mexico, dove si trasformò in pietra in risposta alle loro preghiere. Ancora oggi, il divieto di scalata sottolinea il rispetto per questo luogo sacro.

Machapuchare: il “Cervino del Nepal”

Nel cuore del Nepal, nel massiccio dell’Annapurna, si innalza il Machapuchare, noto anche come il “Cervino del Nepal”. Con i suoi 6.993 metri, questa montagna è venerata dagli induisti come dimora del dio Shiva. La sua ascesa è dichiarata inviolabile, e il solo tentativo registrato nel 1957 si è fermato a 50 metri dalla vetta per rispetto delle tradizioni locali. Il Machapuchare rimane un simbolo di sacralità nel cuore dell’Himalaya.

Gangkhar Puensum: la montagna del Bhutan

Chiudiamo il nostro viaggio al confine tra Bhutan e Cina, dove si erge il Monte Gangkhar Puensum. Con la sua vetta principale di 7.570 metri, questa montagna è la più alta del Bhutan. L’ascesa è vietata dal governo bhutanese per ragioni spirituali, risalenti al 1994 quando è stato proibito l’alpinismo su vette sopra i 6.000 metri nel paese. Un tentativo di salita nel 1998 da parte di un team giapponese ha avuto successo solo sulla vetta secondaria, situata in territorio tibetano. Nel 2003, il Bhutan ha nuovamente vietato l’alpinismo su questa montagna, preservandola come luogo sacro e inaccessibile.

Queste montagne proibite ci ricordano che la natura, oltre alla sua grandezza, può anche custodire storie e spiritualità, offrendo sfide che vanno ben oltre la pura conquista fisica. La loro inaccessibilità fisica sottolinea l’importanza di conservare la sacralità di questi luoghi per le generazioni future.

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Alessia Manoli

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