Alpinismo

Quali sono le montagne della Patagonia più amate e temute dagli scalatori?

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Alessia Barra

Amanti delle scalate impervie, preparatevi a partire per la Patagonia per scalare le sue due vette più pericolose. Ecco quali sono

La Patagonia è un’area di confine, situata al limitare tra Argentina e Cile. Il nome particolare ha delle ragioni storiche: Ferdinando Magellano chiamò “patagoni” i suoi abitanti, scambiandoli per dei giganti, e da qui è nato il nome di questa regione geografica. Quest’area è delimitata dalle Ande a sud ed ovest, mentre a est si trovano bassopiani e plateau.

Nell’elenco delle vette più emozionanti da scalare, non possono mancare all’appello due cime molto conosciute in Patagonia e in tutto il mondo dell’arrampicata, si tratta del Cerro Torre e del Cerro Chaltèn, ribattezzato poi Fitz Roy.

Il Cerro Torre: una sfida senza precedenti

Cerro Torre: la punta che squarcia il cielo della Patagonia – Creative Commons Attribution 2.0 – gentechevainmontagna.it

Questo monte impervio si trova all’interno del Parco Nazionale Los Glaciares, diventato patrimonio dell’UNESCO grazie ai paesaggi che custodisce, che comprendono: foreste, steppe e aree glaciali.

La caratteristica più particolare del Cerro Torre non è la sua altezza, infatti raggiunge “soltanto” i 3128 metri, ma la sua inaccessibilità.

Ebbene sì, si tratta di una delle scalate più difficili sulla faccia della Terra per diverse motivazioni, giusto per citarne alcune: la temperatura può arrivare a – 30 °C e il meteo in Patagonia è parecchio imprevedibile: si contano all’anno una media di 300 giorni di maltempo, fatti tempeste inaspettate e violente.

In più, nonostante si possa scegliere tra differenti percorsi per provare a raggiungere la cima, bisogna comunque affrontare 800 metri di parete granitica. Come se non bastasse, non si può trarre un sospiro di sollievo nemmeno quando si è arrivati alla fine: la cima è ricoperta da un fungo di ghiaccio, capace di mettere in difficoltà anche i più esperti scalatori.

A vederlo da lontano, sembra una punta acuminata che svetta contro il cielo, come a volerlo pungere con la propria cima, le cui pareti di granito e ghiaccio sono sempre pronte a rendere la vita difficile a chi tenta di scalarla.

Cesare Maestri e la sua esperienza sul Cerro Torre

Nel 1959, Cesare Maestri tentò l’impresa di scalare questo inviolabile monte insieme al ghiacciatore austriaco Toni Egger e Cesarino Fava.

Cesare fu trovato in stato confusionale ai piedi della montagna dopo una settimana e raccontò a Cesarino di aver raggiunto la vetta con Egger, ma che quest’ultimo era precipitato giù dal monte insieme alla macchina fotografica che avrebbe attestato il loro successo. Il corpo di Egger venne ritrovato parecchi anni dopo, ma senza macchina fotografica…

Non sappiamo se davvero riuscirono nell’impresa, ma per anni, dopo di loro, nessuno riuscì davvero ad arrivare in cima. Negli anni ’70, Carlo Mauri etichettò il monte come “impossibile da scalare”, come a voler sottolineare che quella di Maestri fosse una bugia bella e buona.

Il riscatto di Maestri

Nel 1970, Maestri decise di averne abbastanza delle calunnie nei suoi confronti, e si preparò ad affrontare di nuovo la scalata impossibile, con tanto di martello compressore di un quintale al seguito, per inserire dei chiodi nella parte priva di appigli ricoperta dal fungo.

Arrivò a 30 metri della vetta, spezzò tutti i chiodi e piantò il compressore all’ultimo, 100 metri più in basso, come a dire: “Io sono stato qui”.

Cerro Chaltèn: il mostro di Santa Cruz

Monte Fitz Roy: i suoi paesaggi sono unici – Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 – gentechevainmontagna.it

Per questa vetta rimaniamo sempre all’interno del Parco Nazionale Los Glaciares, ma ci addentriamo verso la provincia di Santa Cruz, nella Patagonia argentina. Questo monte è leggermente più alto del Cerro Torre, infatti arriva ai 3400 metri.

Chaltèn in lingua Aoniken, ovvero la lingua parlata dalle popolazioni limitrofe, significa “montagna che fuma” ed effettivamente sembra proprio che lo faccia a causa delle nubi che si addensano al di sopra delle sue punte.

Per raggiungere la cima della montagna bisogna essere degli alpinisti esperti ed essere disposti ad affrontare condizioni climatiche nemiche alla sopravvivenza dell’uomo.

Le sue pareti in granito sono un ostacolo importante alla scalata e gli unici compagni di questa traversata verticale sono i condor che volteggiano attorno alle sue punte, che sembrano voler squarciare il cielo.

Il Monte Chaltén è stato ribattezzato Fitz Roy nel 1877, in onore dell’esploratore Fitz Roy che si avventurò in parte della zona nel 1834. Ma i primi a riuscire a scalare questa punta di granito furono Lionel Terray e Guido Magnone. Durante la spedizione, purtroppo, morì l’alpinista esperto Jacques Poincerot.

L’ascesa del monte è difficile e nasconde molte insidie legate al clima sfavorevole e alle pareti ripide e scivolose, basti pensare che in proporzione, mentre sul monte Everest salgono 100 persone al giorno (a livello statistico), solo una persona all’anno riesce a conquistare la cima del Cerro Chaltèn.

Insomma, questi due monti fratelli sono di rara bellezza, una bellezza naturale pericolosa e spesso crudele, che affascina da sempre centinaia di scalatori che si cimentano nella loro scalata. Solo in pochi ce la fanno, ma chi torna racconta di paesaggi unici, mai visti in nessun altro posto nel mondo.

Alessia Barra

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