All’arrivo dei primi freddi, gli escursionisti si potrebbero idealmente suddividere in due categorie. Da un lato vi è chi finalmente sente sopraggiungere quel clima ideale in cui non si suda per il troppo caldo, e se lo gode con piacere. E chi sa che con le prime nevicate e i primi giorni di temperature rigide, stia per iniziare un trimestre (a voler essere ottimisti) in cui cercare, disperatamente, di contrastare la tendenza di mani e piedi a “gelare” con facilità. Se appartenete alla schiera di coloro che ogni inverno si ritrovano ad affrontare tale sofferenza, a domandarsi puntualmente “dove ho sbagliato?”, dopo essersi assicurati di indossare un bel paio di guanti e calzini spessi, questo articolo fa al caso vostro. Cercheremo insieme di comprendere le ragioni di tale disturbo e suggerirvi alcune strategie contro il freddo.
“Sono stanco e ho fame, ho la coda gelata, e il naso gelato, e le orecchie gelate, e i piedi gelati”. Ogni anno, con l’arrivo dell’inverno e la discesa delle temperature attorno, e al di sotto, di 0°C, c’è chi tra gli escursionisti finisce per sentirsi un po’ come l’indimenticabile Lucky del film Disney “La Carica dei 101”. Un ghiacciolo umano a spasso tra le vette, facilmente riconoscibile dal naso rosso.
Una condizione che ci si trova a vivere anche se equipaggiati di scaldacollo, cappello, guanti, calzettoni, tutto ciò che dovrebbe proteggerci idealmente dal freddo. Cosa c’è che non va? Nella maggioranza dei casi la risposta è “assolutamente nulla”. Ogni essere umano è infatti portato fisiologicamente a vivere una condizione di vasocostrizione periferica consequenziale all’esposizione a temperature basse.
La nostra temperatura corporea superficiale è strettamente legata alla circolazione sanguigna periferica. In termini molto semplici, maggiore è la quantità di sangue che circola nelle vicinanze della nostra pelle, maggiore è la sensazione di caldo che si prova. A seguito di esposizione ad aria fredda o anche ad acqua fredda, a livello delle mani e dei piedi si determina una diminuzione del flusso di sangue, conseguente a una vasocostrizione delle arteriole, accompagnata da una sensazione crescente di freddo. Stesso discorso vale per altre due zone del nostro corpo che di norma sentiamo raffreddarsi rapidamente durante una uscita in quota: naso e orecchie.
Oltre alla vasocostrizione periferica legata a uno stimolo freddo, c’è anche da dire che nel corso dello svolgimento di attività in quota i muscoli impegnati nello sforzo richiamino sangue, riducendo di contro l’afflusso sanguigno alle aree più periferiche. Ora, accanto a una certa variabilità fisiologica in termini di circolazione sanguigna che determina una differente sensibilità alle basse temperature, a fare la differenza tra un individuo e l’altro è anche il modo di percepire e vivere il freddo. Molto spesso chi resiste di più è chi ignora più a lungo i segnali inviati dalle estremità in corso di raffreddamento. Una abitudine, come vedremo a breve, non proprio ottimale.
In alcuni casi l’estrema sensibilità al freddo può essere di natura patologica. C’è in particolare una malattia che presenta come sintomo identificativo uno spasmo dei vasi sanguigni periferici, con conseguente riduzione del flusso sanguigno alle estremità, indotto dal freddo o da stress emotivo: la sindrome di Raynaud. Una condizione che può essere primaria o secondaria, associata cioè ad altre patologie. Il fenomeno di Raynaud si caratterizza per un cambiamento evidente del colore della pelle della zona interessata, che appare prima pallida poi cianotica, e infine rossa una volta ripristinata la circolazione. Trattandosi di una patologia, il trattamento deve essere gestito con supporto medico, spesso prevedendo l’uso di farmaci vasodilatatori. Di seguito andremo invece a vedere come affrontare il freddo in assenza di patologie.
Essere particolarmente sensibili al freddo non deve farci sentire deboli. Percepire il freddo può infatti essere un bene, in quanto si è stimolati a intervenire per riscaldare le zone interessate, prima che la situazione peggiori. Ignorando il formicolio, il dolore o l’intorpidimento delle dita di mani e piedi in conseguenza di un progressivo raffreddamento, si possono infatti rischiare geloni e congelamenti. Ma è possibile ritardare l’insorgere di tali sensazioni e godersi un po’ di più la montagna prima di gelare?
La regola numero 1 è abbastanza scontata: più una zona del corpo è coperta, meno sarà esposta all’aria fredda. Ma allora perché, nonostante l’uso dei guanti o dei calzini spessi, si finisce per sentire freddo? Spesso si tratta di un errore di taglia. Importante è non indossare indumenti troppo stretti che potrebbero andare ad aggravare la vasocostrizione. Tale discorso vale in primis per guanti e calzini, ma anche per qualsiasi altro indumento, dalle maglie ai pantaloni fino alle scarpe. Vestitevi comodi.
Altro errore è rappresentato dai materiali di cui si compongono i guanti e i calzini. I guanti devono essere traspiranti, impermeabili e imbottiti, in grado di garantire calore e isolamento. I calzini devono essere specifici per le attività outdoor in quota, anch’essi caldi, isolanti e traspiranti. Perfetti per chi soffra di piedi gelati sono i calzini termici, che non hanno alcuna fonte di calore interna segreta ma sono semplicemente realizzati con fibre in grado di riflettere il calore emanato dal corpo. Naturalmente un buon calzino è nulla senza la giusta scarpa, che deve essere a sua volta impermeabile, adatta alla stagione, e come anticipato non troppo stretta.
Esistono in commercio anche degli accessori aggiuntivi al classico equipaggiamento, particolarmente apprezzati dai più freddolosi: scaldamani e scaldapiedi. Gli scaldamani sono estremamente comodi da portare nello zaino e converrebbe averne sempre con sé una confezione, che potrebbe rivelarsi particolarmente utile in casi di emergenza (propria o altrui). Si tratta di bustine contenenti una soluzione supersatura allo stato liquido che attivata mediante vibrazione va incontro a una reazione esotermica di solidificazione. La durata di tale reazione e di conseguenza la emissione di calore variano da minuti a ore in funzione della soluzione. Lo scaldamani non si getta poi via ma lo si può riutilizzare, riportando allo stato liquido la soluzione, semplicemente con acqua calda. Esistono in commercio anche modelli elettrici e ricaricabili via USB.
Per i piedi esistono invece le solette riscaldanti, monouso o ricaricabili. Quelle monouso funzionano esattamente come gli scaldamani, emettono calore una volta attivate fino a 8 ore prima di scaricarsi. Quelle ricaricabili possono essere riutilizzate dopo opportuna ricarica con batterie al litio. In commercio è anche possibile reperire delle creme riscaldanti, a base di capsicina, la sostanza che regala al peperoncino la sua piccantezza. La sensazione che regalano tali creme è immediata e temporanea.
Accanto a errori di equipaggiamento che potrebbero non isolarci adeguatamente dall’ambiente esterno, ci sono anche alcune abitudini sbagliate che promuovono un raffreddamento più rapido delle estremità. La prima è il fumo. La nicotina ha infatti un effetto di vasocostrizione. La seconda è il caffè, allo stesso modo un alimento vasocostrittore. Dunque niente fumo e caffè prima di andare in quota in inverno (e neanche durante!). E come la mettiamo con l’alcol?
Gli alcolici non aiutano in caso di freddo. Quando la temperatura esterna non è estremamente bassa, bere un po’ di alcol (es. mezzo bicchiere di vino) può essere di supporto nel contrastare nell’immediato il freddo. Ma si tratta di una sensazione effimera e anche per certi versi ingannevole. L’etanolo contenuto nelle bevande alcoliche ha infatti un forte potere vasodilatatore che determina un aumento immediato dell’afflusso di sangue anche alle estremità, regalandoci un attimo di calore. L’effetto dura molto poco poiché tale calore si disperderà all’esterno causando un raffreddamento ancora più veloce.
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