È iniziato il conto alla rovescia per il Natale, manca ormai meno di un mese al periodo dell’anno più ricco di suoni, luci e colori. E come ogni anno c’è chi lo attende con spirito da Grinch, sperando che passi il più in fretta possibile, e chi già si sta attivando nel decorare casa e fare la lista dei regali. Tra le tradizioni più amate vi è sicuramente quella dell’albero di Natale. Per molti decenni tanti di noi si saranno divertiti ad addobbare rami plastificati, verdi, bianchi, blu, senza troppi pensieri. Oggi, con una crescente attenzione al problema ecologico e alla necessità di effettuare scelte sostenibili, il dubbio sorge spontaneo: non è forse meglio optare per un albero vero?
Vi siete mai chiesti da quanti secoli esista la tradizione dell’albero di Natale? Si tratta di una usanza di lontana origine pagana, un po’ come nel caso di Halloween, “presa in prestito” e rimodulata dai Cristiani acquisendo nuovi significati. Ai tempi dei Celti era tradizione addobbare alberi sempreverdi con fiaccole e frutta secca in occasione dei festeggiamenti per il Solstizio d’inverno.
Anche i Vichinghi addobbavano abeti con frutti e ghirlande, auspicando il ritorno della primavera. I Romani decoravano i templi con rami di abete bianco durante i Saturnalia nel mese di dicembre e portavano in casa rametti di pino alle Calende di gennaio. Per gli uni e gli altri i sempreverdi rappresentavano alberi speciali, simbolo di vita, perché non perdevano le foglie durante l’inverno. Con l’avvento del Cristianesimo l’abete diventa “albero di Natale”, simbolo di immortalità, con riferimento alla figura di Cristo. E perché proprio l’abete? Secondo alcuni studiosi in virtù della sua forma triangolare, perfetto rimando alla Santa Trinità.
Ricostruire la lunga storia degli alberi di Natale per arrivare ai giorni nostri, in cui nel periodo natalizio vediamo rifulgere di luci abeti, veri e finti, indoor e outdoor, è complesso. Si ritiene che il primo albero di Natale esposto in una piazza cittadina risalga al 1441, a Tallinn, in Estonia. Ma ci sono altre città che rivendicano tale primato, come Riga in Lettonia. Diciamo che tra Ottocento e Novecento quella che a lungo è stata una tradizione dei Paesi Nordici, si è diffusa sostanzialmente su tutti i continenti.
Arriviamo a noi. Oggi l’albero di Natale, al di là del suo significato cristiano, è un elemento che piace. Ci fa compagnia, aiuta a riscaldare gli animi nel periodo più freddo e buio dell’anno. Sulla scia di una crescente attenzione (per fortuna!) nei confronti del nostro Pianeta, in tanti sorge spontanea una riflessione sulla sostenibilità di tale tradizione. In un momento storico in cui risulta prioritario contenere l’inquinamento da materie plastiche e dall’altro preservare e restaurare il verde, non è così immediato decretare quale tra abete vero e abete finto sia la scelta più ecofriendly.
Sicuramente gli abeti in materiale plastico non possono essere considerati sostenibili. Grandi a piacere, simmetrici al limite della perfezione, multicromatici, talvolta con lampadine già integrate, acquistabili anche online a centinaia se non migliaia di chilometri di distanza, rappresentano senza ombra di dubbio una soluzione comoda. Tra l’altro, a differenza di un albero vero, neanche sporcano perdendo aghi e non necessitano di essere innaffiati. Terminate le festività possono essere riposti in cantina e riutilizzati finché, con l’età, non inizio a danneggiarsi, o semplicemente finché non ce ne si stufi.
A controbilanciare il piatto della bilancia dei vantaggi abbiamo quello dell’inquinamento. Che è legato a varie fasi della “vita” dell’abete fake. A rendere infatti poco ecologico un abete finto non è soltanto il materiale di cui si compone – non solo plastiche, generalmente PVC, ma anche colle, vernici, resine – difficilmente riciclabile, ma anche le emissioni correlate al loro trasporto dalla sede di produzione (che spesso è la Cina) al sito di vendita o a casa del destinatario. Secondo dati dell’ISPRA, “un albero artificiale di 2 metri ha un’impronta di carbonio equivalente a circa 40 kg di emissioni di gas serra, più del doppio di un albero reale che finisce la sua vita in discarica e più di 10 volte quello di un vero albero che viene utilizzato per produrre energia o
sostanza organica come ammendante di terreni”.
In linea teorica, per ammortizzare il suo impatto ambientale, sarebbe bene sfruttarlo almeno 5, meglio ancora 10 anni, prima di gettarlo via. Opzione ancor migliore potrebbe essere non gettarlo via, ma ad esempio rivenderlo, regalarlo, riciclarlo in termini di utilizzo. Potrebbero bastare questi dati per spingerci ad acquistare un abete vero, anche se esteticamente non è “perfetto” come la sua versione fake. Se volete un abete simmetrico non cercatelo in natura!
Ma come la mettiamo con la questione di salvaguardare i boschi? Partiamo col dire che in commercio si trovino due tipi di alberi di Natale veri: quelli dotati di radici e i cimali, che sono le parti più alte di un fusto d’abete, privi dunque di radici, che spesso rappresentano scarti di un abbattimento. In un caso o nell’altro è essenziale controllare l’etichetta. Avete capito bene. Ogni albero di Natale deve essere dotato di un tagliando su cui sono indicate età, provenienza e, importante, la non idoneità dell’esemplare al rimboschimento.
Piantando un abete natalizio in un bosco potremmo rischiare infatti di arrecare danni alle specie autoctone a causa di rimescolamento genetico. Si può piantare nel proprio giardino. Nel caso dei cimali, senza radici, non c’è alternativa allo smaltimento. Va portato presso un’isola ecologica ove sarà destinato al compostaggio.
All’albero in plastica esistono altre valide alternative, decisamente sostenibili: gli alberi di Natale home-made. Ingredienti: pazienza e fantasia. Vi presentiamo 5 idee.
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