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Birra in montagna: abitudine buona o cattiva?

Cosa spinge gli appassionati di montagna a puntare la sveglia a orari proibitivi anche nei giorni festivi in cui finalmente ci si potrebbe riposare? Qual è la ragione che li sprona, ai primi raggi di sole se non prima, a indossare un paio di scarponi e caricarsi sulle spalle uno zaino decisamente non leggero? La risposta non è univoca. Le motivazioni possono essere molteplici, estremamente soggettive, ma vi è uno stimolo, potente,  che accomuna tanti escursionisti (compresa colei che scrive): la birra fresca, al termine di una salita o a fine trekking. Siamo di fronte a una buona o cattiva abitudine?

Birra in quota, quanto sei buona!

Per molti l’idea della birra in rifugio assume lo stesso valore ristoratore di un “Poi spiana” sentito sussurrare lungo un sentiero che sembra infinito. Anche l’acqua fresca al termine di una salita è una manna del cielo, e importante è idratarsi anche nel corso dell’ascesa stessa, non dimentichiamolo mai. Ma, forse per le bollicine, per il mix di aromi o ancora per la schiuma che ci sporca le labbra, la birra in montagna in genere batte l’acqua in termini di sensazioni che è in grado di regalarci. C’è anche chi preferisce berla a fine trekking, una volta terminata la fatica dell’intera giornata di escursione. La situazione non cambia, in un caso o nell’altro, la birra in quota ci fa sentire bene. Ma siamo proprio sicuri che per il nostro organismo sia una abitudine salutare?

Una birra in montagna
Immagine | Pixabay @maatcheck – Gentechevainmontagna.it

Per trovare risposta al quesito è bene partire dalla base: cosa è la birra. Si tratta di una delle bevande più antiche al mondo – le prime testimonianze risalgono almeno al 3.500 a.C. – prodotta attraverso la fermentazione mediata da lieviti di alcuni cereali, tra cui principalmente orzo (germinato ed essiccato per ottenere il malto) e aromatizzata con luppolo. Più che bevanda, come evidenziato sull’Enciclopedia della Birra, sarebbe opportuno definirla un alimento per la presenza di una serie di nutrienti.

Al 90% circa è composta da acqua, in cui sono disciolti minerali, quali calcio, magnesio, potassio, ferro, zinco, rame etc. Ma oltre agli elettroliti, rappresenta anche una fonte di carboidrati, amminoacidi, vitamine del gruppo B, sostanze antiossidanti (derivanti in particolare dai luppoli). E infine di alcol. Questo mix di componenti la rende una bevanda nutriente ed energetica. Due aggettivi estremamente positivi, non vi pare? E allora perché siamo qui a chiederci se sia il caso di demonizzarla?

Birra e trekking: i pro

Il trekking è da riconoscersi come un esercizio fisico, di intensità variabile in funzione dell’itinerario prescelto (lunghezza, complessità). E come tale determina la necessità da parte di chi lo esegua di garantire all’organismo una giusta reidratazione, da intendersi come recupero di liquidi (acqua) ed elettroliti, che tendiamo a perdere attraverso la sudorazione. La birra, composta come si diceva per oltre il 90% da acqua all’interno della quale sono presenti diversi minerali utili al nostro corpo, potrebbe rappresentare in tal senso una bevanda perfetta.

Contiene inoltre una buona dose di antiossidanti, sostanze che aiutano a prevenire danni irreparabili per le cellule del nostro organismo. All’interno delle nostre cellule avvengono una serie di reazioni, che vedono coinvolto l’ossigeno – da cui ossidazioni – che comportano la produzione dei cosiddetti “radicali liberi”. Si tratta di molecole di ossigeno molto reattive in grado di ossidare e dunque danneggiare le strutture cellulari, tra cui un componente molto sensibile che è il DNA. Gli antiossidanti sono in grado di neutralizzare, dunque bloccare, gli effetti dei radicali liberi, catturandoli.

Gli antiossidanti presenti nella birra sono nel dettaglio composti fenolici derivanti dal luppolo. Proprio per la loro presenza, il consumo (contenuto) di birra sembrerebbe secondo alcuni scientifici associabile a una migliore salute cardiaca e a una riduzione del rischio di cancro.

Aggiungiamo un altro elemento positivo della birra: è da considerarsi un alimento prebiotico, caratterizzato dalla presenza di sostanze (come l’inulina) che, non assorbite dal nostro organismo, vengono utilizzate dalla flora intestinale, stimolando crescita e attività dei batteri intestinali “buoni”.

Birra e trekking: i contro

Dopo una carrellata di pro, andiamo a toccare il tasto dolente: la birra ha anche dei difetti. Uno in particolare, ed è l’alcol. Quanto alcol è presente in una birra? In media, secondo quanto riportato dall’Istituto Superiore di Sanità, una lattina (330 ml) da 4 gradi alcolici contiene circa 12 grammi di etanolo, quantità definita “unità alcolica”. Una pari quantità di alcol si ritrova in un bicchiere da 125 ml di vino (gradazione media 12°) o un bicchierino di 40 ml di un superalcolico (gradazione sui 40°).

Escursionista che beve una birra in quota
Immagine | Unsplash @Enrique Fernandez – Gentechevainmontagna.it

1 grammo di etanolo corrisponde in media a 7 kcal, dunque con un semplice calcolo è facile comprendere che, bevendo una lattina di birra 4°, si stiano assumendo circa 84 Kcal (circa 25 kcal per 100 ml). Nonostante, a parità di volume, sia il vino che i superalcolici risultino essere più calorici, e dunque potenzialmente facciano ingrassare più della birra, non la si può considerare una bevanda light. Soprattutto se la gradazione alcolica inizia a crescere. All’aumentare dei gradi alcolici aumenta infatti anche il tenore calorico.

Oltre al “potere ingrassante”, l’alcol ha anche la capacità di indurre disidratazione. Va infatti a ostacolare la produzione di un ormone, prodotto dall’ipotalamo, l’ormone antidiuretico (ADH), che come si evince dal nome, ha il compito di ridurre la diuresi. L’ADH è in grado di agire sul rene, promuovendo il riassorbimento di acqua (pura, semplice H₂O), con conseguente produzione di urine altamente concentrate. Inibendo tale azione, l’alcol favorisce la produzione di urine altamente diluite. Un effetto dose-dipendente. Più ne beviamo più aumenta il rischio di disidratarsi. E non finisce qui, andiamo avanti.

Il trekking comporta un incremento del catabolismo proteico, cioè il consumo delle proteine muscolari, esattamente come accade quando ci si allena in altri sport. Per non perdere massa muscolare è necessario che il corpo sintetizzi nuove proteine. E l’alcol in tal senso rappresenta un nemico, in quanto un sottoprodotto del suo metabolismo, l’acetaldeide, inibisce la sintesi proteica. Anche in questo caso, l’effetto è dose-dipendente, in particolare il consumo cronico di elevate quantità di alcol comporta una riduzione della massa muscolare.

A pesare in negativo sulla muscolatura è anche un effetto indiretto che ha l’alcol a livello ormonale, con riduzione del testosterone e incremento del cortisolo. Il primo tra i due ormoni è definito anabolico, dunque promuove la crescita muscolare. Il secondo è catabolico, ovvero ostacola la crescita muscolare. Ulteriore aspetto negativo dell’alcol è rappresentato dalla sua capacità di indurre un rallentamento nel metabolismo epatico dell’acido lattico, con suo conseguente accumulo. Bere birra nel mezzo di un trekking impegnativo può dunque diventare controproducente, in quanto la ripresa del cammino può risultare faticosa.

Alla domanda iniziale si potrebbe dunque rispondere nel seguente modo: una birra
(leggera) al termine di una giornata di trekking, può andare bene. Più di una no. Importante è sapersi dunque moderare. In alternativa, se quel numero 1 ci sembra troppo poco, si può puntare su alcune alternative quali le birre analcoliche o quelle sviluppate appositamente per chi si allena, povere in calorie e alcol, ricche in elettroliti e proteine.

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