Ottobre, tempo di foliage. O per essere corretti, di fall foliage. Questo il termine di origine anglosassone (badate bene, non si pronuncia alla francese!) ormai divenuto di uso comune su scala internazionale per indicare le sfumature di colore assunte dalle foglie delle specie caduche in autunno. Tra ottobre e novembre i boschi si trasformano in dipinti impressionisti. Ogni foglia è una pennellata di colore, che spazia dal verde al giallo, ai toni dell’arancio, del rosso e del violetto, e più è grande e ricco di biodiversità un bosco, più l’effetto multicromatico aumenta. Nel Sud dello Utah vi è un bosco molto particolare, che in autunno regala una magia: le foglie degli “alberi” che lo compongono (virgolette d’obbligo e vedremo perché) assumono tutte, nessuna esclusa, il colore dell’oro. Il suo nome è Pando.
Pando è il nome attribuito a un grande bosco di pioppo tremulo americano (Populus tremuloides Mchx.) situato nel Sud dello Utah, all’interno del Fremont River Ranger District della Fishlake National Forest. Il nome della specie si deve al comportamento delle fronde che, sotto l’azione del vento, tremano. Ma perché proprio “Pando”? A cosa si deve questa denominazione? Deriva dal latino, dal verbo “pandere”, che può essere tradotto con “distendere, espandere”. Ad attribuire tale nome al bosco fu nel 1992 lo scienziato Michael Grant, in un articolo pubblicato su Discover Magazine. Il motivo? Perché il pioppeto appare davvero grande e potrebbe crescere ancora.
Si compone di oltre 47.000 pioppi (definirli così non è propriamente corretto, ci arriveremo a breve) distribuiti su una superficie di oltre 40 ettari. A renderlo speciale è che quei quasi 50.000 alberi di altezze diverse non siano singoli individui ma parte di un unico grande organismo. Un solo albero in soldoni, il più grande della Terra. Che diavoleria è mai questa?
Facciamo un salto indietro di circa 10.000 anni, anche 12.000 (non di più altrimenti ci ritroveremmo in uno Utah dall’aspetto da era glaciale, decisamente inospitale per la specie). E immaginiamo di trovarci all’interno dell’attuale Fishlake National Forest, di fronte a un bel pioppo tremulo americano nato da un seme. Questo pioppo, dopo una prima fase di accrescimento, attorno a 9.000 anni fa ha iniziato a riprodursi. In una maniera particolare, detta vegetativa.
La riproduzione vegetativa non prevede la produzione e dispersione di semi che, germinando, danno origine a nuovi alberi, diversi geneticamente dalla pianta madre. Ma l’emissione, a partire dalle radici della pianta Madre, di una serie di ramificazioni (dette polloni), che crescendo daranno l’impressione di essere fusti di singoli alberi. Ogni pollone risulta geneticamente uguale alla pianta da cui si è originato. Pando è di fatto una pianta clonale, il termine tecnico con cui viene definito è “genet”. Ogni sua ramificazione contiene il medesimo corredo genetico delle altre ramificazioni, che è lo stesso del pioppo originario.
Se avessimo modo di compiere un viaggio sottoterra, ci accorgeremmo che tutti gli “alberi”, ovvero le ramificazioni del Pando, siano interconnesse tra di loro a livello radicale. L’intreccio di radici è detto rizoma. Possiamo immaginarlo come un sistema di comunicazione, che ricorda un po’ ciò che accade nella foresta dell’isola di Pandora, nella saga fantascientifica “Avatar”, e consente alle varie parti dell’organismo di percepire stimoli, inviare segnali, scambiare acqua e nutrienti.
Le ramificazioni cooperano nella produzione e distribuzione dell’energia, nella riproduzione e nella difesa di tutto il “corpo”. Un corpo che per certi versi si muove. Man mano che nuovi rami emergono dalle radici, la forma complessiva di quello che noi vediamo come bosco muta, si espande nello spazio nella direzione imposta dalle “nuove nascite”. Ecco che il nome “Pando” trova la sua spiegazione.
Gli scienziati hanno provato a stimare la lunghezza complessiva di questo vasto intreccio di radici. Sapete a quanto ammonta? Circa 20.000 km, praticamente quanto metà della circonferenza del nostro Pianeta. Il peso totale di questo Gigante è di oltre 6.600 tonnellate.
Il fatto che si sia riprodotto così a lungo in maniera vegetativa non esclude che possa andare incontro (o che non lo abbia fatto in passato) a una riproduzione sessuata. Pando è nello specifico una pianta maschio, dunque produce polline. Se questo polline incontrasse una pianta femmina della medesima specie potrebbe dare origine a nuovi alberi, geneticamente diversi dai genitori. Per maggiori informazioni vi consigliamo di fare un salto sul sito di Friends of Pando.
Il periodo migliore per andare a fare visita al mega organismo, soprannominato “Trembling Giant” (gigante che trema), è senza dubbio l’autunno. Al termine dell’estate le foglie delle oltre 47.000 ramificazioni che formano Pando, smettono di produrre clorofilla. E si trasformano gradualmente in leggere appendici dorate, per l’emergere del giallo dei carotenoidi.
Provate a immaginare quanto possa apparire meravigliosa la foresta clonale. Un vero dipinto caratterizzato da uno spettacolare contrasto tra il colore oro delle foglie, brillanti e tremolanti nel vento, e il bianco del legno. Il tutto attorniato da un cielo blu intenso. Il bosco si sviluppa a una quota di circa 2.700 metri, dunque il cambio di colore delle foglie avviene abbastanza presto nel corso della stagione. Il picco si ha tra fine ottobre e inizio settembre.
Ora, dopo tanta meraviglia, arriviamo alla nota dolente: Pando non sta bene. Dunque la magia che oggi è in grado di regalarci in autunno potrebbe essere effimera. La sua lunga sopravvivenza è dipesa da un “ricambio generazionale” in continuo. Vecchi rami sono morti, nuovi rami sono emersi. Purtroppo dagli anni Settanta la sua crescita sembra essersi arrestata. La morte delle ramificazioni più vecchie non viene più compensata dall’emergere di nuove. Quello che vediamo attualmente è dunque un bosco i cui alberi più giovani hanno almeno 50 anni. E considerato il fatto che ogni ramificazione può sopravvivere circa 100-150 anni, lo scenario futuro non appare affatto roseo.
Come mai? Le cause sono molteplici. Oltre al cambiamento climatico che sta rendendo la vita difficile alle specie vegetali e animali sostanzialmente di tutto il mondo, un ruolo negativo può essere riconosciuto negli incendi boschivi, nella espansione degli animali “mangiatori” di pioppo, quali cervi e alci. Alla base di tale accresciuta presenza di erbivori vi è una errata politica di gestione della fauna selvatica, con leggi che nei decenni passati hanno favorito l’uccisione di lupi e orsi, loro predatori.
Altro problema è rappresentato dagli animali al pascolo, che al pari di cervi e alci, non disdegnano uno spuntino a base di pioppo. Negli scorsi anni si è proceduto in via sperimentale alla installazione di recinzioni atte a preservare alcune porzioni di bosco. Ma per assicurare la sopravvivenza di Pando, come dichiarato dall’ecologista Paul Rogers in una intervista rilasciata a PBS News, le recinzioni rappresentano una soluzione parziale, semplice, “perché la soluzione più difficile coinvolge persone con interessi diversi”. Sarebbe infatti necessario arrivare a un compromesso tra chi si occupa di caccia, chi di allevamento, chi di turismo. “Saremo in grado di convincerli che questo clone di pioppo gigante, ritenuto l’essere vivente più grande sulla terra in questo momento, sia importante?”
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