Il Documento di economia e finanza è stato approvato da poco, l’esecutivo si prepara a finalizzare un’operazione che farà molto discutere.
Un quadro abbastanza drammatico quello che sta emergendo in questi mesi, lo scenario all’orizzonte ha costretto il governo Meloni a un dietrofront in materia di pensioni. Per quanto riguarda il futuro, pare che l’esecutivo stia pianificando l’ennesima batosta per la popolazione. In particolare sarebbero stati quattro fattori a pesare sulla decisione, dopo un’attenta e profonda analisi imboccare questa strada era pressoché inevitabile.
I costi per lo Stato, innanzitutto, sono diventati insostenibili. La spesa pubblica per le pensioni infatti – come riporta nel dettaglio Il Messaggero – sarebbe diventata un fardello fin troppo pesante da portare avanti, anche perché i numeri sono destinati a crescere e cominciano a far paura. Con ogni probabilità passeranno dai 337,4 miliardi complessivi di quest’anno ai 345 miliardi previsti per il 2025 fino ad arrivare a 368 miliardi nel 2027.
Pensioni anticipate, il governo Meloni procede verso lo stop: i motivi
Oltre all’ormai insostenibile crescita esponenziale della spesa pubblica per le pensioni, a convincere il Governo a stoppare i pensionamenti anticipati è anche il galoppante invecchiamento della popolazione. Dando un’occhiata ai dati forniti di recente dagli istituti di statistica sull’andamento demografico, infatti, ci si accorge come presto saranno pochi i lavoratori che potranno sostenere il mantenimento delle pensioni con il meccanismo dei contributi – a riportarlo è Il Messaggero.
Per non parlare poi dell’inflazione, che è tornata a mordere alle caviglie il nostro Paese. Da quasi dieci anni non si viveva una situazione simile, nonostante gli sforzi dell’esecutivo. Si è intervenuti tagliando ad esempio le rivalutazioni agli assegni superiori a quattro volte il minimo, tuttavia il fenomeno appare solamente tamponato, considerata la crescita del 7,4% del 2023 e del 5,8% dell’anno in corso.
Infine, gli effetti di Quota 100 cominciano a farsi sentire. Permettere ai lavoratori di ritirarsi con 62 anni di età e 38 anni di contributi non ha fatto altro che gravare sulle casse dello Stato. Basti pensare che i costi per le pensioni sono raddoppiati tra il 2019 e il 2023, se confrontati con il periodo che va dal 2010 al 2019. Insomma, gli scenari emersi dopo l’approvazione del Documento di economia e finanza potrebbero presto concretizzarsi.