Le montagne non sono immobili. Nascono, crescono, mutano. Si tratta di cambiamenti di cui spesso non ci rendiamo conto, che si verificano su scale temporali di fronte alle quali la breve durata della nostra vita da umani è poco o nulla. Fatta eccezione di quando si verificano eventi improvvisi e devastanti. Come la frana che domenica 11 giugno ha interessato il Flüchthorn, vetta al confine tra Austria e Svizzera. Un crollo che ha sostanzialmente decapitato la montagna, spazzando via la sua cima principale.
Il monte Flüchthorn, anche noto come Piz Fenga, si innalza lungo la linea di confine tra Svizzera (Canton Grigioni) e Austria (Tirolo), nel Gruppo del Silvretta, Alpi Retiche occidentali. Fino a domenica 11 giugno la sua altitudine massima era riconosciuta essere pari a 3.399 metri. Nel pomeriggio di domenica, attorno alle ore 15, una ingente frana ha però modificato il profilo della montagna, spazzando via parte della cima principale, la Sud. Di seguito le immagini a confronto prima e dopo la frana.
Secondo le prime stime, la cima avrebbe perso almeno 100 metri. Ne consegue che attualmente la vetta principale sia da considerarsi quella centrale, alta 3.397 m. Oltre 1 milione di metri cubi di roccia si sono riversati verso valle, percorrendo almeno 2 chilometri prima di arrestarsi. Durante la discesa impetuosa si sono innalzate delle nuvole grigie di polvere. Insieme alla porzione di cima Sud risulta essere crollata anche la croce di vetta. La scena è stata immortalata in alcuni video, di seguito la condivisione sul canale YouTube “StormChase R”.
“Centinaia di metri di cima sono semplicemente venuti giù”, il laconico commento di Christian Walter, capo del soccorso alpino della regione austriaca del Galtür. Gran parte del materiale, come testimoniato da un video diffuso su Youtube da No Comment TV, è finito in un corso d’acqua.
A seguito della frana, la Polizia ha effettuato un sorvolo dell’area interessata, estesa circa 2 chilometri quadrati, per escludere il coinvolgimento di persone. Fortunatamente il controllo ha dato esito negativo. La zona è stata dichiarata pericolosa e le autorità hanno provveduto a diffondere l’avvertimento per gli alpinisti di evitare le salite. In termini economici si stima che i danni potenziali si aggirino attorno a 1 milione di euro.
Quel che desta maggiore preoccupazione non è però l’evento in sé, ma il contesto in cui si è verificato. Le Alpi risultano sempre più fragili, mostrano anno dopo anno segni di “stress”. I crolli si moltiplicano e allarmano. Nel mese di maggio, a breve distanza dal Flüchthorn, il villaggio svizzero di Brienz è stato oggetto di una evacuazione massiva. I suoi circa 80 abitanti sono stati invitati ad abbandonare le proprie case per un rischio imminente di frana. E oggi possiamo dire che tale decisione estrema sia stata corretta. La notte scorsa, dopo una settimana in cui, come informa Ticino News, i franamenti erano in continuo aumento, “gran parte dell’Isola, il pendio sopra il paesino evacuato, è crollata”, mancando di poco Brienz.
Dalle nostre parti, nelle Piccole Dolomiti, si è assistito di recente al collasso dell'”Omo”, iconica guglia calcarea che, insieme alla vicina “Dona”, andava a costituire la coppia simbolo del gruppo montuoso del Carega. “Ciao Omo: nel monte Plische, la Dona è rimasta sola – le parole del presidente del Consiglio regionale del Veneto, Roberto Ciambetti – . Il sentiero 113 e la salita dalla Gazza perdono una delle due guglie, la più possente, immagine classica ed emblematica del gruppo del Carega: siamo in tanti ad aver fatto quel percorso e oggi ci troviamo anche noi un po’ più soli. Un crollo che fa pensare: è il ciclo della vita“.
Un crollo che, insieme a quello del Flüchthorn e tanti altri, dovrebbe far riflettere non solo sulla vita ma anche e soprattutto su cosa stia succedendo sulle Alpi. Vediamo cosa ne pensano gli esperti.
Secondo i geologi, alla base dell’ingente crollo del Flüchthorn vi sarebbe un mix di due fattori: lo scioglimento delle nevi e quello del permafrost. In poche parole, il cambiamento climatico.
“Possiamo essere relativamente sicuri della causa di questo incidente: il permafrost. Il ghiaccio è il collante delle montagne e quel ghiaccio si è scongelato per un lungo periodo di tempo a causa del cambiamento climatico. Ciò provoca quindi i risultati che vediamo qui”, ha spiegato con efficacia il geologo Thomas Figl all’agenzia di stampa DPA.
Parlare di permafrost sulle Alpi può risultare strano ai meno esperti. Lo si associa in maniera immediata alla Siberia, più in generale all’Artico, a quelle zone estreme dove il suo scioglimento, accanto a preoccupazioni legate all’incremento potenziale di emissioni di anidride carbonica, si associa al suggestivo rinvenimento di reperti preistorici di eccezionale valore. Ma il permafrost è una “colla” che si trova anche qui sulle nostre montagne di casa.
Come dichiarato alla CNN da Marcia Phillips, leader del gruppo di ricerca sul permafrost del WSL Institute for Snow and Avalanche Research in Svizzera, il permafrost che si scioglie può avere effetti destabilizzanti. “L’acqua può penetrare in profondità nelle masse rocciose attraverso fessure appena aperte, che in precedenza erano ostruite dal ghiaccio”.
Quanto tale fenomeno sta impattando sulla stabilità delle Alpi? Una risposta precisa non esiste, in quanto, come evidenzia la ricercatrice, non si dispone di dati sufficienti che possano portare ad affermare con sicurezza che negli ultimi anni si sia assistito a un significativo aumento dei distacchi spontanei. Abbiamo a disposizione testimonianze di chi abbia assistito a eventuali crolli, ma molti si stanno probabilmente verificando in zone remote, in cui non si dispone di sistemi di monitoraggio. Ma già le poche testimonianze di cui si dispone rendono evidente che ci troviamo di fronte a un problema in aumento.
“Insieme all’aumento delle temperature del permafrost, alla perdita di ghiaccio e all’aumento del contenuto di acqua sotterranea, ci aspettiamo un aumento dei movimenti dei pendii e delle cadute di massi alle altitudini in cui si trova il permafrost nelle Alpi”, ha affermato la Phillips. Bisogna prepararsi a un futuro di mutamenti, in cui le Alpi non avranno più i contorni che oggi conosciamo. Le perderemo del tutto un giorno? A questa domanda dai toni apocalittici Michelle Phillips ha fornito una emblematica risposta (con un bel pizzico di ironia) in una intervista rilasciata a Blue News: “Ci vorranno milioni di anni prima che assomigli alla Scozia. Non vedremo le montagne diventare tonde o piatte, né lo faranno le generazioni future”.
Una affermazione che non vuole certo sminuire l’importanza della prevenzione. Come sottolineato nella medesima intervista da Matthias Huss, glaciologo dell’ETH di Zurigo ,essenziale è saper leggere le montagne, riconoscere gli eventi franosi ed evitare vittime e feriti. E non è facile. “Da un lato – afferma Huss – si dipende da una migliore comprensione dei processi attraverso la ricerca, ma dall’altro dai suggerimenti degli alpinisti che osservano cambiamenti insoliti.”
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