Il solstizio d’estate si avvicina, le temperature iniziano ad alzarsi e, piogge permettendo, sale la voglia di una fuga in quota per trovare ristoro dal caos delle città. Tra i principali suggerimenti da seguire per godere al meglio di una uscita estiva in montagna, accanto ai classici bere tanto e proteggersi dal sole, ve ne è uno altrettanto importante: fare attenzione alle zecche!
Purtroppo a questi piccoli artropodi (che erroneamente spesso chiamiamo insetti), golosi di sangue umano, la montagna “piace” quanto a noi. I boschi e i prati che scegliamo come mete in cui ritrovare un po’ di serenità rappresentano anche i loro habitat preferenziali. Cosa dovremmo fare dunque, rinunciare alle nostre escursioni estive? Certo che no, la convivenza è possibile, basta conoscere le regole del gioco.
Le zecche, come anticipato, sono artropodi appartenenti alla stessa classe dei ragni, degli acari e degli scorpioni: gli Aracnidi. Hanno un corpo tondeggiante e le loro dimensioni variano da qualche millimetro a circa 1 centimetro (a seconda della specie e dello stadio di sviluppo del singolo individuo). Si tratta di parassiti ematofagi obbligati, per i quali succhiare il sangue è necessario per vivere e riprodursi.
Per cibarsi utilizzano un apparato buccale, detto “rostro”, che consente di penetrare la cute e succhiare il sangue degli ospiti (una vasta gamma di animali, dai cani ai cervi, fino all’uomo). Presentano un particolare ciclo biologico a più stadi, che possono svolgersi sul medesimo ospite o anche più ospiti. Si inizia dall’uovo, da cui fuoriesce una larva a 6 zampe. Una volta ingerito il primo pasto quest’ultima muta in una ninfa a 8 zampe, che maturerà poi un individuo adulto.
La presenza delle zecche non rappresenta una problematica solo italiana, anzi. Sono essenzialmente diffuse in tutto il mondo e le specie note ammontano a circa 900. In Europa sono presenti due famiglie: quella delle zecche dure (Ixodidi) e quella delle zecche molli (Argasidi). In Italia sono note 36 specie. Quelle più diffuse e cui prestare maggiore attenzione durante le escursioni sono la zecca del cane (Rhipicephalus sanguineus) e la zecca dei boschi (Ixodes ricinus).
La prima si ritrova soprattutto in aree urbane e periurbane, come parchi e giardini. Quella dei boschi, come si evince dal nome, vive prevalentemente nel sottobosco umido e nei prati erbosi, in aree collinari-pedemontane. Secondo quanto riportato dalla Commissione Centrale Medica del Club Alpino Italiano, è stata segnalata fino ai 1300-1400 m di altitudine, ma dai 1000 metri risulta poco presente. Generalmente è lei che rischiamo di riportare a casa con noi a seguito di una uscita in quota. Ricordiamo che la zecca sia presente dove siano presenti suoi potenziali ospiti, dunque luoghi come stalle e pascoli risultano a maggior rischio.
Nonostante siano presenti tutto l’anno, come sottolinea l’Istituto Superiore di Sanità (ISS), “in generale la loro attività si concentra nei mesi caldi”. Durante l’inverno tendono infatti a “proteggersi dal freddo rifugiandosi sotto le pietre o interrandosi in profondità”. Una volta riattivate col ritorno del caldo, restano tali orientativamente fino all’autunno. I cambiamenti climatici, come immaginabile, stanno influenzando tali ritmi.
Ma come “si prende” una zecca? Non volano, non saltano, generalmente si posizionano all’estremità di piante erbacee o cespugli, in attesa che passi di lì un ospite cui aggrapparsi. La loro puntura è indolore grazie a particolari principi anestetici che vengono iniettati insieme alla saliva. Dopo 2/7 giorni rimaste aggrappate all’ospite, si lasciano cadere. Il problema di una puntura di zecca è legato alla potenziale trasmissione di patogeni, responsabili di alcune malattie, quali la rickettsiosi (febbre bottonosa del Mediterraneo), l’ encefalite virale da zecche (TBE, Tick Borne Encephalitis), la borreliosi di Lyme e la febbre emorragica di Crimea-Congo (CCHF).
Dopo esserci spaventati abbastanza, vediamo come imparare a convivere con le zecche. Si parte ovviamente dalla prevenzione, ovvero una serie di accorgimenti per evitare il contatto con il parassita.
I consigli principali sono 4:
Al termine dell’uscita è comunque bene effettuare un controllo visivo e tattile della propria pelle e degli indumenti. E cosa succede se ne individuiamo una sulla pelle? Va prontamente rimossa (la probabilità di contrarre un’infezione è direttamente proporzionale alla durata della permanenza del parassita sull’ospite) ma bisogna farlo con criterio.
Secondo l’Istituto Superiore di Sanità, uno degli errori più comuni, assolutamente da evitare, è l’utilizzo per rimuovere la zecca di “alcol, benzina, acetone, trielina, ammoniaca, olio o grassi, oggetti arroventati, fiammiferi o sigarette”. La ragione? L’utilizzo di tali sistemi determina nell’animale una sofferenza tale da indurlo a rigurgitare del materiale potenzialmente infetto, oltre che facilitarne un ulteriore affondamento nella nostra pelle. Da evitare è anche operare a mani nude, dunque rischiare di toccare con mano la zecca, sempre bene usare i guanti.
Vediamo allora quali siano le regole da seguire per andare sul sicuro.
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